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Meditazione Vipâssanâ

Nata in India in tempi remoti come pratica spirituale, in origine non si riferiva ad alcuna religione o sistema filosofico specifico. Fu Siddhartha Gautama Sakyamuni “IL BUDDHA” a riscoprirla e diffonderla più di 2500 anni fa come metodo per uscire da ogni tipo di sofferenza.
 

Da allora fino al XIX sec. la meditazione Vipâssanâ è stata tramandata per via monacale fondendosi con le usanze e le tradizioni dei popoli che raggiungeva.


Nel sec. IV a.C. nella città di Pãtaliputra si tenne un grande concilio buddhista, nel quale cominciarono a profilarsi due diverse correnti di pensiero, che prelusero alla posteriore divisione del buddhismo in Mahãyãna (il “grande veicolo”) e HÄ©nayãna (il “piccolo veicolo”). Quest'ultimo è comunemente conosciuto come buddhismo theravãda, che significa «tradizione degli antichi».

Originario dello Sri Lanka, si basa sui sutra del canone Pali, cioè la più antica raccolta dei discorsi del Buddha. Il testo più importante di questa tradizione è il Dhammapada, dove sono scritte le parole da Lui realmente pronunciate.

Nella pratica buddista theravâda si incontrano due metodologie fondamentali di meditazione:
Samâtha e Vipâssanâ.

Pur avendo due obiettivi diversi, la prima è indispensabile per la seconda.

Il Buddha, infatti, ha spesso sottolineato che la calma concentrata (Samâtha o samâdhi) è di fondamentale importanza per la pratica di Vipâssanâ (visione profonda).

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  • Samâtha, o concentrazione. È chiamata così perché viene utilizzata per raggiungere uno stato di perfetta calma fisica e mentale, mettendo a tacere le distrazioni e gli affanni del quotidiano. Detta anche "meditazione della tranquillità o stabilizzante” è lo strumento che permette l'accesso alla VipâssanâSamâtha, conduce il praticante all'assorbimento completo nell'oggetto di meditazione, che è la base per poter sperimentare i quattro jana, ossia gli stadi di assorbimento:

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  1. Gioia nata dal distacco e dall'applicazione sugli oggetti di meditazione;

  2. Calma interiore, e mente scevra di ogni applicazione sugli oggetti di meditazione;

  3. Equanimità e consapevolezza; il meditante sperimenta gioia nel corpo;

  4. Il meditante, deposta gioia e dolore, dimora equanime nella purezza.

Questa pratica è molto potente, ma è in grado di eliminare solo le impurità piú grossolane (rabbia, invidia, agitazione).

Lo stato di tranquillità ottenuto con la tecnica di Samâtha non è duraturo e per un praticante poco esperto “c'è il rischio di creare un forte attaccamento”.

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  • Vipâssanâ, o purificazione. Ha lo scopo di farci capire la vera natura della mente e della materia. Vipâssanâ permette di sradicare le impurità più sottili e profonde, i sankhâra, creati dalle nostre azioni passate e presenti.

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La parola sankhâra in questo contesto significa «condizionamento mentale» ovvero, tutto ciò che comprende le idee, i pensieri, le credenze e le convinzioni, i quali sono la base su cui si costruiscono i comportamenti, le abitudini e lo stile di vita. La pratica della meditazione Vipâssanâ consiste in un processo di progressiva purificazione della mente e crea le condizioni per confrontarci con i nostri problemi senza conflitto.

Che tu possa essere al sicuro,

libero dai pericoli. 

Che tu possa essere in pace,

libero dalle sofferenze mentali.

Che tu possa essere in salute,

libero dalla sofferenza fisica.

Che tu possa prenderti cura di te stesso

ed essere felice.​   

Bhante Sujiva

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